mercoledì 3 giugno 2009

Carote barricate

Le Langhe e il Chianti hanno molte cose in comune. Vini superbi (noi molti e "monovitigno", loro uno solo e “mescolato”, ma passi). Abitanti stranieri, ricchi e trapiantati. Agriturismi con piscina più cari dell’Hilton. Strade linde e tortuose come bisce tra le campagne pettinate. Cascine ristrutturate da rivista d’architettura. Centri storici ripavimentati e regolarmente pedonalizzati anche nei paesini di 600 anime (fa figo), illuminati a giorno da falsi lampioni antichi. Sul paesaggio, però, vince la Langa. Ha, come il Chianti, colline e avvallamenti in serie, continui saliscendi, paesi sui cocuzzoli e brutti capannoni a fondovalle, ma da noi cambia lo sfondo. A parità d’effetto mare-monte (quando sei giù ti par d’essere in montagna, panorami chiusi, boschi, pendìi che incombono; quando sei su ti par d’essere in barca in mezzo al mare mosso, tanta è la fuga di colline che si perde all’orizzonte in onde di colori diversi), la Langa ha l'atout decisivo dello sfondo: le Alpi. Una corona superba (specie quest'anno che a Giugno sono ancora innevate), che va dalle marittime fin quasi alle lombarde.

Me lo godevo l'altra sera dalla terrazza-belvedere di un famoso ristorante, posto su un cocuzzolo (stella Michelin, un milione di vino in cantina), ospite di amici per la presentazione d’alcune annate speciali dei loro cru. E naturalmente a tavola si parlava della crisi del vino "di nicchia" (quello caro, per capirci). Ascoltavo divertito un produttore di Barbaresco che si vantava di avere l'ex presidente Fiat Paolo Fresco fra i suoi clienti più fedeli. L'ho subito spiazzato con una battuta: “Allora il suo - gli ho detto - è l’unico Barbaresco che si beve fresco”. Silenzio imbarazzato dei commensali (non sono abituati ai calembours, da quelle parti), poi qualcuno si è ricordato della sua vanteria, l'ha collegata alla battuta ed è scoppiata la risata liberatoria. E lì ho capito (c'era il gotha dei produttori di Baroli e Barbareschi, a tavola) perché i "villan rifatti" della barrique hanno bisogno di un addetto alle pubbliche relazioni per "comunicare": non si può saltare dalla fenogliana "Malora" alla Ferrari in due generazioni senza lasciar per strada qualcosa.

Comunque l'argomento-base era il prezzo “eccessivo” di certi cru, al consumo. «A noi che li facciamo – diceva il fornitore di Fresco accalorandosi (ossimoro apparente) – contestano quel tot per cento di margine sui costi finali (che sono altissimi, per i grandi vini), e poi chi li rivende, in enoteca o in tavola, triplica il nostro prezzo senza farsi problemi. Comincino loro a darsi una calmata». Io meditavo. Aveva ragione, il villico, ma è stato lui ad accodarsi alla "sindrome da firma". Dalla borsetta alla grappa, dalla scarpa al vino, quel fenomeno comincia ad infestare persino i negozi di frutta e verdura: prezzi decuplicati rispetto a quelli praticati dal produttore, con la scusa del bio, delle etichette o delle "denominazioni d’origine". Ananas Del Monte (l'uomo ha detto sì...), banana Chiquita (dieci-e-lode), Mela Melinda (madre natura, padre contadino), Patata Selenella (al selenio) Patata Iodì (allo iodio)… Fra un po’ vedrai che s’inventano la carota barricata.

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