lunedì 15 giugno 2009

Per non perdere mai

Il mio post su Pantani ha toccato un nervo scoperto, anzi due. Da un lato quello dei fans delusi che si rifiutano di considerare drogati i loro idoli (vale per Pantani come per Maradona), dall'altro quello di chi, come Eddy Ottoz, considera la lealtà e il rispetto scrupoloso delle regole come i massimi valori dello sport. Eddy, ex olimpionico, sa bene (e ne soffre) che ormai il doping dilaga in tutti gli sport, dai livelli giovanili fino ai veterani. Di certi genitori che chiedono ai medici “un aiuto” per i loro figli ciclisti in erba si sapeva, ma fanno più impressione i nonni che nei forum di Internet confessano di “bombarsi” pur di vincere una gara amatoriale. I danni di ciò stanno emergendo con crescente frequenza, anche anni dopo la cessazione dell’attività agonistica. Deformazioni fisiologiche, SLA, malattie cardiache, morti improvvise…

La giustizia ordinaria (Guariniello docet) se ne occupa, ma è difficile provare il loro collegamento con il doping, perché la scienza è incardinata sul dubbio, lo erige a motore del suo progresso, e quindi ha grossi limiti nel campo giuridico, dove esso non è ammesso perché “in dubio absolvitur”. Così il problema resta, ed è enorme. Non riguarda solo lo sport, ma l’ambizione, l'autostima, la disponibilità a rovinarsi la salute per un obiettivo immediato, l’inclinazione a barare, l’avidità di soldi e fama... Bisogna lavorare sulla psicologia dell’atleta che cerca “l’aiutino”, e spiegargli che nella vita come nello sport è giusto contare su se stessi, non su aiuti esterni.

Ma questo nobile concetto è ostico alle ultime generazioni, cresciute iperprotette, non allenate a soffrire, use a copiare i compiti in classe e ad esser difese dai genitori fino al Tar in caso di bocciatura. Vagli a dar torto, però, ai giovani che avvertono il doping come un’inclinazione sociale: fin da piccoli han visto i "grandi" aiutarsi per ogni occasione, con la raccomandazione per saltare le code, con l’alcol per socializzare, col Viagra per ciulare, col fumo per calmarsi, col Prozac per vincere la depressione. I giovani sanno che i "grandi" hanno soluzioni chimiche per ogni minimo problema (dimagrire, dormire, star svegli, abbronzarsi...) e persino fiale, polveri e pasticche per togliersi (tutta o in parte) la fatica di vivere.

Aggiungi a questo la Televisione, che ha consacrato “l’aiutino” a dovere istituzionale (tanto che viene sempre invocato, anche di fronte ai più facili quiz telefonici) e metti in coda a tutto (last but not least) il plagio martellante della pubblicità, secondo cui certi obbiettivi (la bellezza, il successo, la fortuna in amore, il prestigio sociale...) si possono ottenere usando "quel tale" prodotto, e non lo studio, l’applicazione e la fatica. Se basta Denim per non dover chiedere mai, può bastare una flebo per non dover perdere mai.

venerdì 12 giugno 2009

Pantani & pantani

C'è una poesia come commento al post di ieri. Ed anche un'oscura chiosa alla medesima che parla di bidelle (?). Anni fa un lettore mi scrisse: “al rogo le poesie, illusioni ottiche dell’anima se va proprio di lusso, altrimenti cialtronate pazzesche”. E citava, a conforto della sua invettiva, le biografie di due grandissimi poeti. Leopardi “che se fosse stato quello sciupafemmine che ogni uomo sogna d'essere non avrebbe scritto un solo verso”. Dante “quel nazionalcialtrone che moraleggiava sistemando all’inferno gli avversari politici e in paradiso quelli che potevano tornargli utili". Gli avevo risposto che la polemica non era nuova (l'aveva già fatta Marinetti agli inizi del '900), ma era errata la sua impostazione, perché la poesia non ha alcun bisogno di essere 'giustificata' dalla biografia del suo autore.

La poesia esiste in sé, è già presente in natura, e spesso si serve degli esseri più strani ed improbabili per affiorare. Nell’autore noi celebriamo solo il “medium” che ci ha messi in contatto (talvolta inconsapevolmente) con essa. In un certo senso capitò così anche con Pantani, vista l’ondata d’emozione che travolse l’Italia (complici anche i mass media che l’alimentarono con stucchevole compunzione) dopo la sua morte. Chi disse che era solo la triste fine d’un drogato dopo una carriera viziata dal doping, non aveva capito che il Pantani uomo c’entrava poco col Pantani-mito. Lui era stato, come succede per la poesia, solo un medium. Solo il terremoto subacqueo che aveva scatenato in superficie, nel mare degli amanti del ciclismo, uno tsunami di passione

Passando dalla stessa fessura attraverso la quale fluisce la poesia nelle parole “ognuno sta solo sul cuor della terra trafitto da un raggio di sole: ed è subito sera”, ci travolse un'ondata di emozioni antiche, di ricordi epici (Coppi sull'Izoard...). Veder pedalare sulle salite quell’omino calvo, con le orecchie a sventola e la smorfia della fatica sul volto, ci aveva spettinato il cuore. Quel nano giallo in fuga ci aveva trafitti proprio come "sul cuor della terra un raggio di sole". Ma fu subito pera.

giovedì 11 giugno 2009

Le ronze

Non ho più voglia di arrabbiarmi per il Toro. Sono vecchio, e trovo la vita così bella che voglio viverne il poco o tanto che mi resta con le antenne ben sintonizzate sul bene. Soprattutto, dopo la morte di mia figlia sedicenne, non ho più la forza di lottare, né di rimettermi a scrivere il mio giornale "Fegato Granata". Quindi, invece delle solite polemiche su Cairo, sulla retrocessione, sulla squadra del prossimo anno, su chi è da cedere e chi da comprare, vi dirò la bella cosa che ho visto al Filadelfia (l'unica cosa granata che è sempre stata e sempre sarà nel mio cuore) tra maggio e giugno.

C’erano alcuni volonterosi, pieni di fede e ostinazione, che si facevano un mazzo così a strappare arbusti, tagliare l’erba, verniciare, spazzolare e sistemare quei pochi mozziconi che restano del vecchio Tempio. Ovviamente, gratis. Lo facevano con l’amore dei figli che, attendendo la visita di parenti in arrivo da lontano, sgurano la casa a fondo, anche se è vecchia, per non far fare brutta figura ai genitori. E lavano, e pettinano anche la nonna paralitica e demente, e le passano un po’ di trucco sulle gote, che tutti possano ricordarla com’era quand’era ancora in sé.

Loro lavoravano (e lavorano ancora) solo per tenerlo aperto, anche così com'è. Perché i vecchi nostalgici come me possano entrarci ogni tanto a respirare una boccata di ricordi. Perché chi non sa ancora, sappia. Perché i bambini possano tirare due calci al pallone sulla stessa erba calpestata 60 anni fa dai caduti di Superga. Voglio dire un grazie enorme, a quei pochi, tenaci druidi del Tempio in rovina. Mentre gli altri erano in vacanza o sdottoravano di calcio sui forum, loro avevano le mani graffiate dalle spine. Le “ronze”, come diceva un pensionato che lavorava con loro: «vènta pru gavéje, ‘ste ronze!»

Era un’agape fraterna nel silenzio della città deserta, nel cortile ripulito di un Fila che a guardarne i ruderi ci ricostruivo intorno tutto il resto, con la memoria. Gli spalti, le facce, le voci... E mi veniva lo s-ciupùn. Era bello che tutto questo accadesse in un momento così brutto per la squadra. Ma il cuore granata non retrocede. Mai. I veri granata, più li prendi a calci nei denti, più li rendi forti. Sono così abituati, a sanguinare, che non se ne accorgono neanche più. Come quel pensionato fra le ronze.

mercoledì 10 giugno 2009

Ave Maria in stand-by

I vecchi ricordano bene i fatti lontani. Basta saperli ascoltare, sfrondando i loro discorsi da quella “laudatio temporis acti” che è una costante di tutte le epoche, ed è psicologicamente comprensibile. Il resto, cioè i fatti e i personaggi, sono una galleria preziosa di “storia minore”. Sembra quasi che gli scomparsi evocati aleggino nei pressi dell'anziano narratore, lieti di quell’estremo scampolo di visibilità che viene loro fornito, di quell’ultima occasione di vita virtuale. La sopravvivenza nella memoria altrui è un privilegio riservato ai grandi. A chi ha lasciato una traccia forte nell’arte, nella scienza, nella politica, insomma nella “storia maggiore”. Agli altri, che sono i più, è concessa solo l’umile occasione del ricordo di chi li conobbe in vita, e te ne parla. Anche solo citandone una curiosità, una battuta.

Io ebbi per anni una segretaria, ora scomparsa da tempo. Era separata, con grossi problemi in famiglia che sopportava con la lacrima facile e con la fede forte. Se mi scappava una bestemmia, lei si faceva il segno della croce, cercando di non farsi vedere. Mai mancata un giorno. Fumava come un turco, tossiva (tutti le dicevano “smetti o ti becchi il cancro ai polmoni”) e invece se l’è portata via un tumore al pancreas, che col fumo non c’entra niente. Bèh, sapete con cosa ha stampato il suo ricordo in me? Con una cosa da nulla: la fotocopiatrice dell'ufficio. L'avevo comprata nell’89 e nel 1996, quando lei morì, andava ancora benissimo. Però, come tutte le fotocopiatrici di quella generazione, se schiacciavi il pulsante quando era in stand-by, ci metteva un bel po' di secondi a tornare operativa.

A me, se avevo fretta o semplicemente ero nervoso (il che mi capita quasi sempre), quell’attesa pareva insopportabile. Sacramentavo come un portuale, prendendomela con la macchina: "Accenditi, bastarda, porco qui e porco là..." Ricordo che Franca (così si chiamava la mia segretaria) mi disse un giorno, sentendomi cristonare : “Non è poi così lunga quest'attesa, signor Collino: dura esattamente quanto un’Ave Maria”. Provai: era vero. Da allora, tutte le volte che trovavo la macchina in stand-by, non mi arrabbiavo più. Dicevo un’Ave Maria, e il tasto diventava verde all’amen, come per un arcano comando. Continuai a farlo anche dopo la morte della mia impiegata. La macchina si rendeva operativa sempre all'amen, ma con una piccola, delicata variante che avrei imparato ad apprezzare come un balsamo miracoloso anni dopo, alla morte di mia figlia: da qualche parte, sopra o dietro di me, avvertivo la presenza e il sorriso timido di Franca.

martedì 9 giugno 2009

Ahi, serva Italia...

La sentenza a orologeria del processo Mills (su un caso di vent'anni fa...), la campagna di stampa gossipara sulle veline e su Noemi, le foto sulle presunte "orge" di villa Certosa (pubblicate dallo spagnolo "El Pais" che - guarda caso - è apparentato al gruppo editoriale della Repubblica/Espresso...) e gli attacchi a Berlusconi del solito Economist (e di altri fogli "progressisti" d'oltralpe e d'oltremare) hanno sortito l'effetto voluto: ridurre le proporzioni del successo del Pdl da cinque a dieci punti percentuali. Tralascio l'osservazione (già fatta da tanti altri) sull'effetto comico/patetico di un Pd costretto ad esultare per esser stato solo scazzottato anziché bastonato come temeva, e vengo all'aiuto della stampa estera.

La sinistra italiana ha molti alleati nella stampa europea, e li usa. Non le importa se questo dà licenza alla stessa stampa di dare addosso, poi, anche alla nostra nazione - e non solo al Berlusca - quando le fa comodo. E' un po' come quando le nostre signorie medioevali e rinascimentali in lotta fra di loro chiamavano gli stranieri in aiuto, ma poi dovevano sopportare che i loro eserciti si abbandonassero ad ogni genere di violenze e di saccheggi anche sui loro territori, o addirittura si rifiutassero di tornare a casa stabilendo "protettorati" più ispirati alla conquista che all'alleanza. Il ricorso alla stampa estera da parte della sinistra è solo la riedizione in chiave mediatica di quel vizio, che ci costò secoli di dominazioni straniere.

L'Italia è uno stato relativamente giovane (150 anni) ma gli italiani furono patriottici per un terzo di quel tempo, grosso modo dalla fine dell'800 (guerre coloniali ) alla fine del ventennio. Anche perché dal 1945 in poi le sinistre hanno cercato di cancellare ogni traccia dell’Italia monarchica e fascista, dai pilastri come l’egemonia culturale e l’alleanza con la chiesa, ai temi di facciata come il culto dello sport e della latinità. Non ci sono riuscite del tutto, ma di sicuro hanno sradicato quel poco di patriottismo che avevamo. Oggi, di fronte ad una globalizzazione che mette in crisi il concetto stesso di Stato-nazione, può anche darsi che sia stato un bene. Ma dovrebbero sradicarlo anche gli altri. Invece abbiamo visto che alle prime avvisaglie della grande crisi economica mondiale, ogni Stato (anche nella Ue) ha pensato agli interessi suoi. Ahi, serva Italia...

lunedì 8 giugno 2009

L'isola dei formosi

Avete notato che gli insulti seguono i tempi e le mode, come gli abiti, e la loro valenza offensiva è spesso disgiunta dal significato letterale? In Veneto, ad esempio, per dire che uno è un po' scemo, si dice che “el xè un mona” , ma se il nome di quel triangolino benedetto (quello, per capirci, di cui si dice che un solo suo pelo tira più di un carro di buoi) avesse valenza universale d'insulto, non si capisce perché in tutto il resto d'Italia si dice "è figo" di una cosa bella e divertente, o "è un figo" di un individuo attraente e in gamba.

E il classico insulto "bastardo"? Col diffondersi moderno delle convivenze “more uxorio”, delle doppie e triple famiglie, della fecondazione artificiale con sperma anonimo proveniente dalle varie "banche del seme", l’occidente è sempre più popolato di bastardi. Eppure il relativo insulto, invece di perdere forza, conserva immutata tutta la violenza che da millenni l’uomo, ossessionato sull’identità della prole e sulla purezza della razza, gli attribuisce. C'è addirittura un sito su Internet ("bastardi dentro") famoso per le sue vignette e le sue foto corrosive.

Se l’offensività dell’epiteto dovesse dipendere dal suo significato reale, non avrebbe senso l'insulto prediletto dalla sinistra per Berlusconi "nano pelato" perché si riferisce alla statura e alla calvizie, due "difetti" di cui il Cav. non ha colpa. Se nella violenza verbale fossimo coerenti dovremmo usare di pregerenza ingiurie di carattere morale come “disonesto, falso, truffatore, ladro” ecc… Invece Tanzi, che era davvero tutte queste cose, fu applaudito al Teatro Regio di Parma, anche dopo il crack.

Un’altra ingiuria che non si dovrebbe usare perché chi si trova in quella condizione quasi mai ne ha colpa, è “ignorante”. Invece si usa molto, anche se col significato di “prepotente”. E qui una ragione c'è, perché più uno è ignorante, più tende a fare il gradasso (e, al contrario, più impara cose, più diventa umile). Chi non sa cerca di bluffare, s’arrangia, prova ad imitare le mosse di chi sa, alza la voce, diventa aggressivo, come fanno spesso i palestrati e le tettone che popolano i reality show.

Il guaio è che il trucco spesso funziona, e ci convince che non vale la pena dannarsi ad imparare, basta saper fingere bene. E’ così che nasce la Tv d’oggi, dove quasi tutto (applausi, sondaggi, esperti, concorrenti, scherzi, litigi, reality show...) è finto. Già, finto. Pensateci: questa parola sì che dovrebbe suonare come un insulto orribile. Invece capita di sentir dire “è talmente bello che sembra finto”. Cinico pessimismo? Relativismo pirandelliano? Gusto per l'ossimoro? A Marzullo l’ardua sentenza.

sabato 6 giugno 2009

Salmoni congelati

Nel commento al post del 27/5 "Nodi parentali gordiani", Eddy Ottoz mi invita a rileggere sul suo blog «Appropo'» il caso del nonno di Aosta tenuto in congelatore per cinque anni dopo la sua morte, per continuare ad incassarne la pensione. Bèh: quel record è stato battuto a Londra, dove la salma di Gulbai Murzan, classe 1901, è stata tenuta nel freezer per 20 anni. Lì non c'erano pensioni da incassare: la figlia voleva solo evitare noie burocratiche e sanzioni per aver tenuto in casa illegalmente la madre, immigrata clandestina. C'è sempre qualcuno che ti scavalca a sinistra...

Nel caso di Ludovici, il pensionato torinese trovato mummificato in casa a 25 mesi dal decesso, non era scattato nessuno dei tipici segnali di morte solitaria: odore, morosità, pensione non ritirata... Una rara combinazione di fattori (il piano alto, l’aerazione, l'assenza dei vicini nel periodo critico) aveva fatto sì che l'odore non si sentisse. Per affitti e bollette, si sa che contro le morosità delle case popolari gli Enti procedono con voluta lentezza. Quanto alla pensione, l’Inps non controlla se è vivo chi la fa ritirare con delega, figuriamoci se si preoccupa di chi non la ritira. Per Ludovici non scattò alcun allarme. Né olfattivo, né burocratico, né affettivo.

E per affettivo non intendo solo la famiglia. La moglie e i figli di Ludovici non volevano la sua salma perché anni prima li aveva mollati in miseria senza mai più farsi vivo. Ma lui, pur vivendo solo, non era un asociale: andava al bar, salutava i vicini... e infatti qualche compagno di briscola l’aveva anche cercato, non vedendolo per mesi. Ma senza l’accanimento di chi, amato, riama. L'aveva cercato così, da amico occasionale. Oggi si direbbe da amico di Facebook. I veri amici bisogna coltivarli, non basta giocarci a carte e scambiarci due parole. Chi vive solo deve far sapere le proprie abitudini, telefonare a cadenze più o meno regolari, ricevere in casa qualcuno ogni tanto, anche solo per un caffè.
La solitudine totale e impermeabile è un'amante troppo perfetta (così fedele ed esclusiva che più la frequenti meno hai voglia di tradirla con altri) per non essere pericolosa. Bon. Chiuso il cerchio? Trovata la conclusione? Tutti cercabili e cercati per non far la fine di Ludovici e avere un funerale decoroso? Manco p'a capa. Circa la "damnatio solitudinis" riflettete sulla mistica degli anacoreti e sull'esempio luminoso degli eremiti. Circa le esequie "decorose" pensate alle salme buttate in mare o abbandonate alla corrente del Gange. E poi... siamo certi che all'anima importi che fine fa il suo involucro terreno? Il cerchio non si chiude perché a queste domande nessuno può dare risposta. Notate il controsenso: ci fa impressione pensare alla salma chiusa per vent'anni nel congelatore, mentre migliaia di cadaveri di barboni (o di gente morta sola come Ludovici) nel "civile" occidente finiscono smembrati, venduti a pezzi alle università e alle case farmaceutiche, bolliti per farne ossa da studio, o addirittura plastificati ed esposti nelle gallerie come opere d'arte. E' poi così orribile, il freezer?

giovedì 4 giugno 2009

La balla va al mercato

La Lega vorrebbe che la Cee tassasse le merci cinesi, che stanno rovinando le aziende europee a causa del loro costo bassissimo. Ma finché laggiù le cose resteranno come sono, il costo delle loro merci resterà imbattibile. Lo sanno tutti, ormai che il costo del lavoro là è ridicolo, e non ci sono contributi sindacali o pensionistici né altri oneri aggiuntivi per limitare infortuni e inquinamento. Il regime, pur cautamente orientato verso il libero mercato, tiene ancora le briglie ben strette sui diritti civili. Ne fan fede le migliaia di fucilazioni e le persecuzioni delle minoranze etniche, come quella tibetana. Ne fa fede il silenzio totale sul ventennale della strage di Piazza Tien An Men.

Anche nel vicino “paradiso rosso” vietnamita, i Montagnards, che rifiutano l’assimilazione culturale e politica da parte di Hanoi, subiscono da decenni una spaventosa pulizia etnica che è arrivata fino alla sterilizzazione obbligatoria delle donne. Altro che Chiapas! Altro che Gaza! Ma lassù non c’è nessun subcomandante Marcos pronto a ricevere i Bertinotti e i Minà in gita con telecamere al seguito, nessun emulo del Che disposto a cantare con loro “hasta la victoria siempre” fra tequila e tortillas. Solo Pannella se ne occupa, come sempre inascoltato.

E comunque non ci illudiamo che le frontiere fermino i popoli e le dogane i prodotti. Il nostro mercato occidentale ormai è viziato da un welfare che sarà impossibile mantenere, è strozzato dalla burocrazia ed è inquinato dalle truffe finanziarie, al punto che le imprese europee ed americane più sveglie guardano alla Cina e all'India come ai mercati del futuro, unici sbocchi per non chiudere. Sarà (lo è già...) una guerra epocale, e dovremo urlare al miracolo se resterà circoscritta al piano economico. Ma qui riempiono i giornali su Noemi, non hanno spazio per le cose serie. Tanto, come i danni da inquinamento e gli interessi passivi sui derivati firmati dal 70% dei comuni italiani, saranno i nostri nipoti a pagare gli sconquassi portati dal mescolarsi planetario di povertà e ricchezza.

mercoledì 3 giugno 2009

Carote barricate

Le Langhe e il Chianti hanno molte cose in comune. Vini superbi (noi molti e "monovitigno", loro uno solo e “mescolato”, ma passi). Abitanti stranieri, ricchi e trapiantati. Agriturismi con piscina più cari dell’Hilton. Strade linde e tortuose come bisce tra le campagne pettinate. Cascine ristrutturate da rivista d’architettura. Centri storici ripavimentati e regolarmente pedonalizzati anche nei paesini di 600 anime (fa figo), illuminati a giorno da falsi lampioni antichi. Sul paesaggio, però, vince la Langa. Ha, come il Chianti, colline e avvallamenti in serie, continui saliscendi, paesi sui cocuzzoli e brutti capannoni a fondovalle, ma da noi cambia lo sfondo. A parità d’effetto mare-monte (quando sei giù ti par d’essere in montagna, panorami chiusi, boschi, pendìi che incombono; quando sei su ti par d’essere in barca in mezzo al mare mosso, tanta è la fuga di colline che si perde all’orizzonte in onde di colori diversi), la Langa ha l'atout decisivo dello sfondo: le Alpi. Una corona superba (specie quest'anno che a Giugno sono ancora innevate), che va dalle marittime fin quasi alle lombarde.

Me lo godevo l'altra sera dalla terrazza-belvedere di un famoso ristorante, posto su un cocuzzolo (stella Michelin, un milione di vino in cantina), ospite di amici per la presentazione d’alcune annate speciali dei loro cru. E naturalmente a tavola si parlava della crisi del vino "di nicchia" (quello caro, per capirci). Ascoltavo divertito un produttore di Barbaresco che si vantava di avere l'ex presidente Fiat Paolo Fresco fra i suoi clienti più fedeli. L'ho subito spiazzato con una battuta: “Allora il suo - gli ho detto - è l’unico Barbaresco che si beve fresco”. Silenzio imbarazzato dei commensali (non sono abituati ai calembours, da quelle parti), poi qualcuno si è ricordato della sua vanteria, l'ha collegata alla battuta ed è scoppiata la risata liberatoria. E lì ho capito (c'era il gotha dei produttori di Baroli e Barbareschi, a tavola) perché i "villan rifatti" della barrique hanno bisogno di un addetto alle pubbliche relazioni per "comunicare": non si può saltare dalla fenogliana "Malora" alla Ferrari in due generazioni senza lasciar per strada qualcosa.

Comunque l'argomento-base era il prezzo “eccessivo” di certi cru, al consumo. «A noi che li facciamo – diceva il fornitore di Fresco accalorandosi (ossimoro apparente) – contestano quel tot per cento di margine sui costi finali (che sono altissimi, per i grandi vini), e poi chi li rivende, in enoteca o in tavola, triplica il nostro prezzo senza farsi problemi. Comincino loro a darsi una calmata». Io meditavo. Aveva ragione, il villico, ma è stato lui ad accodarsi alla "sindrome da firma". Dalla borsetta alla grappa, dalla scarpa al vino, quel fenomeno comincia ad infestare persino i negozi di frutta e verdura: prezzi decuplicati rispetto a quelli praticati dal produttore, con la scusa del bio, delle etichette o delle "denominazioni d’origine". Ananas Del Monte (l'uomo ha detto sì...), banana Chiquita (dieci-e-lode), Mela Melinda (madre natura, padre contadino), Patata Selenella (al selenio) Patata Iodì (allo iodio)… Fra un po’ vedrai che s’inventano la carota barricata.

venerdì 29 maggio 2009

Gente easy

Una ricca cinquantenne del "tout Turin", bisturata e bistrata (una che conobbi non biblicamente molti anni fa e mai più rividi), mi ha ripescato su Facebook e mi scrive: «ciao Manlio ...(il tale giorno) organizzo un evento chiuso con light dinner,più consumazioni nel magnifico giardino de Le Meridien via nizza con parcheggio garantito...voglio o vogliamo creare un gruppo di gente simpatica ,easy che possa interagire anche per lavoro...un pò fuori dalle solite e ripetute cose ...mi piacerebbe rivederti ...così dimenticare per qualche ora un pò i propri casini e pensare ,che in quell' assenza di tempo, si possa respirare lievi ..coinvolgi chi vuoi ...smack» A parte la data "coperta" e l'omissione della firma, ho fatto il copia-incolla del messaggio così com'era, compresa l'orgia di puntini, la spaziatura errata, le virgole mancanti o non necessarie e i due "pò" con l'accento. Per farvi apprezzare lo stile "easy". Poi ho deciso di usare come post di oggi la mia risposta. Eccola.

«Cara (...) non verrò al tuo "evento chiuso" per una serie di motivi. 1) Odio il Lingotto, lugubre fabbricone da far saltare in aria, luogo di prevaricazioni e sofferenze inenarrabili (i cessi, alla turca, avevano porte e paratie divisorie in lamiera ad altezza 1,50 onde permettere ai guardioni di spiarti da sopra mentre cagavi, per scoprire se leggevi o fumavi e darti in quel caso una multa con diffida che dopo tre volte significava licenziamento), luogo saturo di energia negativa dove aleggiano i fantasmi dei morti per infortunio e per cancro preso al reparto verniciatura, struttura che sarebbe stata abbattuta con la dinamite in pochi giorni se il sindaco di Torino Novelli avesse concesso il diritto di edificabilità del quartiere progettato dagli Agnelli in quell'area. Ma erano gli ultimi anni '70: Il Pci col suo 34% aveva sfiorato il sorpasso della Dc. Novelli voleva far sapere a Berlinguer (in previsione di future carriere) che era un duro così duro da non esitare a dare il "niet" ai nuovi Savoia della Val Chisone.

Fu allora che gli Agnelli ordinarono al loro potente ufficio stampa di convincere il mondo che quel tetro lager dismesso (che col sì di Novelli sarebbe stato raso al suolo senza rimpianti) era un "prodigio di architettura industriale", un capolavoro degno della tutela delle Belle Arti. E per "valorizzarlo" inventarono quel sepolcro imbiancato che è il "Lingotto fiere" con tutti i suoi annessi e connessi (Meridien, Auditorium, Multisala, 8Gallery...), spaventosa macchina mangiasoldi (pubblici, cioè nostri), struttura orrenda e ibrida che solo l'ingordigia prepotente degli Agnelli e la viltà dell'ambiente politico, sindacale e culturale azzerbinato ai loro piedi potevano partorire. E devo dire che ci sono riusciti, se una donna di mondo come te definisce "magnifico giardino" quel cortile interno del Méridien, dove d'inverno non arriva neanche il sole, pieno di edera, siepi e piante cresciute fuori e portate lì in vasi, tra ombrelloni e gazebi. Non riuscirei mai a "respirare lieve" lì dentro.

2) Mi sta sul cazzo la gente che parla come gli yuppies delle agenzie di pubblicità: evento chiuso, light dinner, easy, interagire... 3) A proposito di "interagire ANCHE per lavoro" ti avviso, qualora non lo sapessi, che quel sistema l'ha inventato la massoneria tre secoli fa. Poi glie l'hanno copiato i vari Lions, Rotary e club minori, forse quelli che tu chiami "le solite e ripetute cose". Io però sono un vecchio orso incazzoso e depresso che trascorre gli ultimi anni della sua esistenza facendo ordinaria manutenzione alla sua ormai acclarata mediocrità, fisica e mentale. Conosco già troppe persone (su Fèisbuc, pur limitandomi a confermare amicizie, senza mai chiederle, sono già oltre i 600 "amici"...) e non ho voglia né bisogno di "interagire" con altri che non siano i pochi e collaudati amici veri, setacciati (e adesso inizio a dire anche risparmiati) dal tempo. Senza offesa, mè bel donin. Ti restituisco il generico smack che in pieno stile Feisbucchiano hai copiaincollato a tutti gli invitati. Stame bin, nèh, belagiòia. Manlio»